Gesù pronunciò queste parole ai capi religiosi del tempo. Purtroppo questi uomini, sebbene avessero trascorso anni a studiare le Scritture, non conoscevano Dio. Sapevano di Lui, ma non avevano un rapporto personale con Lui.
“Vieni a me” è una proposta per conoscere Dio. Accettare questo invito significa incontrare il Signore, come si farebbe con un amico: iniziare a coltivare una relazione.
Offriamo molto poco a Dio. Le parole lusinghiere non lo impressionano. E i nostri successi? Non sono nulla in confronto ai Suoi. Vantarsi dei nostri averi sarebbe come mostrare i soldi del Monopoli ad un milionario. Che dire riguardo le nostre buone opere? Non si possono paragonare alla Sua infinita giustizia. Il nostro grande impegno? Impossibile essere all’altezza dei Suoi standard di santità. Cosa possiamo sostenere riguardo i nostri peccati? Nulla gli è nascosto, perché Egli vede tutto.
Quindi cosa desidera Dio da noi? “Vieni a me” è un invito ad avvicinarci a Lui, così come siamo: adulteri, orgogliosi, egoisti, miseri nei nostri fallimenti, pieni di vergogna, depressi, dubbiosi e così via. Visto che non abbiamo nulla da offrirgli, ciò che Egli vuole… siamo noi. Ma le relazioni umane non funzionano in questo modo; prima pensiamo di doverci dare una ripulita e comportarci da “buoni cristiani”. Ma non possiamo rimuovere la sporcizia del peccato da soli, Egli vede attraverso ogni maschera.
Sorprendentemente Dio vuole tutti noi, anche se non siamo sempre collaborativi e “buoni cristiani”. Quando il Signore disse a Mosè che lo avrebbe usato per condurre la nazione di Israele fuori dalla schiavitù, Mosè gli rispose di trovare qualcun altro.
Giobbe ritenne Dio colpevole delle sue sofferenze. Nei Salmi, Davide chiede a Dio di distruggere i suoi nemici. Mise però in dubbio il Suo l’amore, pensando di essere stato dimenticato da Lui (Salmo 77). Dopo che il popolo di Ninive si pentì dei propri peccati, Giona si lamentò con Dio per aver risparmiato la città. Avresti mai pensato che Giona invece di essere felice per essere stato usato ad avviare uno dei più incredibili risvegli della storia, avrebbe accusato il Signore per essere stato troppo misericordioso?!?
Immagina se uno di noi avesse reagito come Mosè, Giobbe, Davide o Giona.
In tutte queste situazioni, il Signore ha risposto con grazia, misericordia e pazienza, caratteristiche rare per un uomo.
Esitiamo ad andare a Gesù, perché non siamo abituati a relazionarci con qualcuno che, nonostante veda i nostri fallimenti, non si disgusta. Quando ci guarda e dice “Amato del Signore”, non ci gira le spalle. Invece di puntare il dito e farci la predica, ci dà un abbraccio.
Il più grande comandamento non è conoscere la Bibbia, fare opere buone, o “essere un buon cristiano”, ma “amare Dio con tutto il nostro cuore, tutta la nostra mente e tutta la nostra anima” (Matteo 22:37). “Vieni a me”, è un invito per passare del tempo con Gesù, per conoscerLo, per far crescere l’amore per Lui.
Leggi la storia di Maria e Marta in Luca 10:38. Marta girava per casa, cercando di preparare un pasto abbondante per impressionare Gesù, mentre Maria era seduta ai suoi piedi per ascoltarLo. Il risultato finale? Marta fu delicatamente rimproverata per aver agito in modo eccessivo, mentre Maria fu lodata per “non aver fatto null’altro” che passare del tempo con il Signore.
“Vieni a me” è la chiave per trovare la vita, dice Gesù.
Grazie a Dio per questo. Se “essere un buon cristiano” fosse la risposta giusta, nessuno di noi avrebbe speranza.
Autore: Mike Genung (articolo tratto dal libro “100 Giorni di Cammino Verso la Grazia“)