Chi tenta di sbarazzarsi dei comportamenti sessuali indesiderati ha ricevuto molti danni da una teologia della purezza fuorviante che riduce la lotta sessuale a una dicotomia “comportamento puro vs. impuro” oppure “vittoria vs. sconfitta”. I miei clienti spesso osservano che le teologie della purezza spesso sembrano simili alla storia di Sisifo nella mitologia greca. La punizione inflitta a questo personaggio consisteva nel dover spingere un masso su per una collina, che poi inesorabilmente rotolava di nuovo a valle, costringendolo a ripetere questa azione per l’eternità. Quando stai cercando di fare a meno di comportamenti sessuali indesiderati, il masso che spingi per la maggior parte del tempo su per una collina è la purezza. Purtroppo il termine purezza è usato come sinonimo perfetto di astinenza. Ahimè, questa convinzione è incoraggiata da molti libri e da molte organizzazioni cristiane secondo le quali, ingenuamente, riuscire a imbrigliare la purezza trasformerà totalmente la vita di chi tende ad avere un comportamento sessuale sbagliato.
Eppure, un principio di estrema importanza esposto nei Vangeli è che gli sforzi per purificare sé stessi non sono soltanto inutili, ma anche distruttivi per coloro che normalmente sono considerati impuri dall’establishment religioso. Gesù riserva parole feroci agli esperti della legge e li attacca per i pesi aggiuntivi che pongono sulle spalle dei più vulnerabili. In Luca 11:46 risponde così ai capi religiosi: “Guai anche a voi, dottori della legge, perché caricate la gente di pesi difficili da portare, e voi non toccate quei pesi neppure con un dito!”. Coloro che lottano contro dei comportamenti sessuali indesiderati non hanno bisogno di essere ulteriormente caricati di condanne per la loro incapacità di raggiungere la purezza. Quando la cultura della purezza diventa sinonimo di cultura della sorveglianza, deve essere considerata al limite dell’eresia.
Se sei un cristiano, devi ricordare che la questione della purezza è già stata affrontata una volta per tutte nella morte di Gesù. Non c’è nessun peccato passato, presente o futuro che tu possa commettere che non sia stato espiato nella crocifissione e nella risurrezione di Gesù. Non puoi diventare più puro in futuro di quanto sei già, anche quando sei al culmine del tuo comportamento sbagliato. Pertanto, gli sforzi per evitare la concupiscenza o l’autofustigazione per il mancato raggiungimento della purezza non hanno alcun valore. La tua purezza è già stata pienamente raggiunta e applicata alla tua identità.
Ma allora se la rendicontazione non deve essere mirata alla purezza, su che cosa dovrebbe concentrarsi? Richard Rohr ha sostenuto che l’aspetto più pregiudizievole della vita di un individuo non è il suo fallimento, bensì il fatto di essere disconnesso dagli altri. Quando ci disconnettiamo dalla comunità e dal nostro Creatore, l’inevitabile ricaduta sarà quella di una vita che appassisce e marcisce. Comprendere la differenza è di estrema importanza: noi non appassiamo e imputridiamo a causa del nostro pec-cato, ma appassiamo nel peccato perché siamo disconnessi dalla Vite. L’io disconnesso è il concetto di cui parla Gesù in Giovanni 15:5-7:
Io sono la vite, voi siete i tralci. Colui che dimora in me e nel quale io dimoro, porta molto frutto; perché senza di me non potete fare nulla. Se uno non dimora in me, è gettato via come il tralcio, e si secca; questi tralci si raccolgono, si gettano nel fuoco e si bruciano. Se dimorate in me e le mie parole dimorano in voi, domandate quello che volete e vi sarà fatto.
Le comunità danno il meglio di sé quando creano uno spazio che consente agli individui di esplorare le numerose ragioni per cui la connessione profonda con altri è stata così difficile. In questo modo, la connessione è un invito, non una richiesta dogmatica per trovare una giusta posizione davanti a Dio. Ricorda sempre una cosa: le relazioni interpersonali sono il luogo in cui le persone subiscono la maggior parte delle ferite. Pertanto, quando si entra a far parte di una comunità, è del tutto normale che la cautela e il sospetto delle persone salgano in superficie.
Nel brano di Giovanni 15 citato sopra, notiamo un’altra cosa: Gesù non esige che gli altri facciano uno sforzo per connettersi a lui. Il suo approccio è più esistenziale, come dire: “Vuoi essere libero dal peccato sessuale? Ebbene, puoi riuscirci […] basta che dimori in me”. Poche righe dopo, nel caso in cui si insinuassero in noi dei dubbi sulla nostra capacità di dimorare veramente in lui, Gesù ci riporta all’immagine più importante: Dio non smette mai di inseguirci. “Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore” (versetto 9). Il progetto di Dio per la trasformazione sessuale è principalmente una connessione profonda con l’amore, non la paura dell’ira. La vergogna cerca di convincerci che il nostro comportamento indesiderato deve essere fermato prima che possiamo connetterci in maniera profonda con altri individui. Difficile pensare a qualcosa di più controproducente, in quanto noi ci connettiamo in modo da poter guarire.
Nel versetto 10, Gesù continua a insegnare dicendo ai suoi seguaci di osservare i suoi comandamenti (che nel versetto 12 definisce riassumendo con le parole “che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi”) e dice che, se lo faranno, dimoreranno nel suo amore. Per Gesù l’ubbidienza è una categoria relazionale, non comportamentale. Questo paradigma è visibile in altri punti della Scrittura, in particolare in Esodo 20 quando il Signore dà i Dieci Comandamenti. Prima ancora che il primo comandamento viene pronunciato, Dio ricorda al popolo il suo rapporto con loro: “Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù” (versetto 2). Noi non otteniamo la liberazione dai comportamenti sessuali indesiderati a causa della nostra ubbidienza; l’ubbidienza è invece il frutto della nostra liberazione.
Autore: Jay Stringer (ha scritto il libro Indesiderati)