Il seminario si dimostrò essere il punto più basso della mia esperienza spirituale. Per tre anni, io e Allie vivemmo fuori dal campus in un alloggio per studenti sposati. Allie visitava raramente la scuola e non riusciva mai a seguire nessun corso — era troppo impegnata a portare in grembo nostro figlio e a gestire un asilo nido nel nostro appartamento per pagare le bollette. Passavo le mie giornate da solo, a studiare. La maggior parte dei corsi erano frequentati da molti studenti, e insegnati da professori geniali che non avevano idea di chi io fossi.
Il momento peggiore per me fu un viaggio che io e Allie facemmo a New York, sponsorizzato sia dal seminario che da un gruppo femminista chiamato Donne Contro la Pornografia. La nostra guida ci fece fare un tour di Times Square a piedi. La seguimmo attraverso dei sexy shop mentre parlava con fervore dello sfruttamento delle donne da parte dell’industria del sesso. Ci mandò dentro a vedere uno spettacolino, con i gettoni nelle mani, affinché potessimo vedere l’orrore di cui parlavamo. Ho dato la mia prima occhiata alla pornografia hardcore con mia moglie seduta di fianco a me in una di quelle piccole cabine oscurate. Le immagini che apparirono a intermittenza ci disgustarono entrambi e non vedevamo l’ora di uscire fuori. Ma allo stesso tempo, in qualche parte dentro di me sentivo uno strano e invitante fascino, come se si fosse aperta una botola. Quelle immagini accesero un fuoco in me che sarebbe durato incontrollabilmente per vent’anni, un fuoco che brucia tuttora.
Fino all’incidente di Times Square, giornaletti, romanzi erotici e film di Hollywood alimentavano le mie fantasie sessuali più nascoste. Da un giorno all’altro però i miei gusti cambiarono spostandosi verso materiale più esplicito, e presto mi sarei trovato ad avventurarmi da solo in uno squallido mondo fatto di cinema a luci rosse e sexy shop in cerca di questa nuova potente droga.
Un circolo vizioso fatto di vergogna si sviluppò velocemente. Iniziava con un senso di vuoto o insoddisfazione, seguito velocemente da un desiderio di sollievo. Mentre il desiderio cresceva, precedenti promesse di opporvi resistenza evaporavano rapidamente e prima che me ne rendessi conto, consciamente o meno, iniziavo a formulare un piano. Il piano richiedeva sempre un sotterfugio – una storia di copertura per precauzione per rendere conto del tempo e dei soldi di cui avrei avuto bisogno per la mia dose.
A volte nascondevo il piano talmente bene dal mio io cosciente che mi trovavo realmente sorpreso quando la mia macchina entrava, apparentemente di sua propria volontà, nel parcheggio del cinema o del negozio.
Il rischio di essere visto e il brivido di violare un tabù mi causavano una scarica di adrenalina mentre mi avvicinavo alla porta. Sentivo la prima ondata di dopamina – la cascata chimica nel cervello che altera l’umore, così apprezzata dai cocainomani e dai corridori di lunga distanza – mentre sfogliavo la merce e facevo la mia scelta. Inevitabilmente, comunque, quell’ondata di emozioni positive iniziava a scemare. L’euforia passava, lasciandomi deluso, pieno di disgusto verso me stesso, maledicendomi per la mia stupidità, e promettendo a me stesso di non farlo mai più. Sarei tornato poi alla mia vita di tutti i giorni con fare risoluto, ma non molto tempo sarebbe passato prima che il mio vuoto e la mia insoddisfazione interna iniziassero a gridare per provare sollievo, e il ciclo iniziava di nuovo.
In una di queste scorrerie, stavo uscendo da uno di quei spettacolini e per poco non mi scontrai contro l’assistente di un professore del seminario. Mi girai immediatamente e scappai, pregando che non mi avesse riconosciuto, ma un paio di giorni dopo si avvicinò nella biblioteca del seminario. Disse che era bello sapere che avessi una mentalità aperta, e voleva che capissi che sua moglie era pienamente consapevole delle sue attività. Rendeva il loro matrimonio più interessante. Anche mia moglie la pensava così? Sbiancai, ricordando improvvisamente che le nostre mogli si erano incontrate. No, gli dissi, non la pensava assolutamente così. Beh allora, disse con fare cospiratorio, avevamo entrambi un buon motivo per rimanere in silenzio, o no?
Il vizio continuò. Al tempo non me ne resi conto, ma la mia crescente dipendenza dalla pornografia stava facendo morire sempre di più il mio cuore, portandomi via dalla mia famiglia e dai miei altri affetti. In breve tempo una nebbia discese sulla mia vita quotidiana. Non ero più presente nell’attimo, vivendo invece nella vergogna della mia ultima dose oppure nella colpevole attesa della prossima. Evitavo relazioni profonde con altri, trattandoli istintivamente come inferiori o rivali e attento nel non venire scoperto. Mantenevo anche la distanza tra me e le donne. La maggior parte di loro mi sembravano dei corpi, non persone, e preferivo la sicurezza di un’intimità immaginaria ai rischi di vere relazioni.
Mi ritirai persino da mia moglie. Allie, che aveva fatto una promessa di fronte a Dio di essere la mia migliore amica per la vita, poteva sentire che mi stavo allontanando da lei emotivamente, e non riusciva a trovare una spiegazione a riguardo. Per quanto ne sapesse lei, ero un cristiano motivato ed emotivamente sano, concentrato sul lasciare un segno nel mondo. Alla fine concluse che stavo perdendo il mio interesse in lei perché era lei a essere mancante. Senza dirlo veramente, mi trovai d’accordo.
Sempre da santo martire, però, continuavo esteriormente a fare i miei doveri da marito premuroso. Al contrario di altri che conoscevo, aiutavo in casa, assicurandomi sempre che Allie sapesse dei sacrifici che stavo facendo. Ero molto gentile e premuroso verso mia moglie, ma in maniera accondiscendente, ascoltando i suoi problemi con una compassione professionale e spiegandole pazientemente cosa stava facendo di sbagliato. Andavo anche al lavoro ogni giorno e guadagnavo soldi, facendo un paio di lavori part-time durante l’anno scolastico, predicando in una piccola chiesa di campagna durante i fine settimana, e imbiancando delle case durante l’estate. Pensavo che Allie fosse parecchio fortunata a essere mia moglie.
Anche la mia ricerca della pornografia, mi dicevo, era un qualcosa di nobile. Dopotutto, Allie era impegnata a crescere tre bambini e fare da babysitter ad altri sei nel nostro piccolo appartamento durante le giornate, e non aveva proprio l’energia per essere una dea del sesso ogni notte. Sarebbe stato ingiusto da parte mia aspettarmelo. D’altra parte, il sesso era il mio bisogno maschile fondamentale, più importante del cibo o del sonno, essenziale per la mia sopravvivenza come l’aria o l’acqua.
Sarei morto senza. Fermarmi in un sexy shop, quindi, era come fermarmi al McDonald’s da ritorno dal lavoro per risparmiare ad Allie la fatica di cucinare. Non c’erano piatti sporchi dopo. Non avevo una storia con qualcun altro. Non c’erano donne vere coinvolte. Ero fedele a mia moglie, ed ero pure rispettoso. Lei non avrebbe capito, ovviamente, perciò per il suo bene dovevo tenere segreta quella mia premura.
Una fredda sera d’inverno, dopo un ritiro per uomini dove avevo sentito alcuni di loro raccontare le loro storie, mi sedetti con Allie e le confessai la verità riguardo le mie lotte con la pornografia. Rimase devastata dalla notizia, ma l’accettò coraggiosamente, stringendomi la mano e riassicurandomi che mi amava in ogni caso. Promisi di lasciarmi tutto alle spalle. Dire la verità mi fece sentire molto meglio, e per un periodo, gli impulsi sembrarono scomparire. La confessione è la chiave per la libertà, conclusi. Il segreto è fuori, il drago è stato ucciso, e ora posso vivere in integrità.
Autore: Nate Larkin (tratto dal suo libro “Sansone e i monaci pirati“)