Beethoven giaceva sui tasti del suo pianoforte completamente sordo, agitando furiosamente il pugno verso il cielo. Non riusciva più a sentire le composizioni celesti della sua giovinezza.
Non ci può essere un dio.
Grant Aschatz è meno famoso, ma non per questo meno talentuoso. Dopo anni come chef pluridecorato a Chicago, Grant scoprì un nodulo bianco sulla lingua. Era un cancro e dovette rimuovere gran parte della lingua e della gola. Lo chef stellato Michelin non ha più potuto assaggiare il sapore delle sue amate pietanze.
Non ci può essere un dio.
Soffro di un’infezione da settimane e dopo i trattamenti con gli antibiotici, non vedo alcun miglioramento. Non riesco a sentire i sapori. Sono in uno dei miei bar guatemaltechi preferiti a sorseggiare il mio caffè, ma per quel che mi riguarda sa di acqua calda. Non sono in grado di assaporare nulla ed ho una grande rabbia. Sto pensando di sbattere contro il muro la tazza di caffè, ormai mezza vuota.
Esiste un calmante per questo tipo di rabbia?
Esistono situazioni che alimentano la tua rabbia, proprio perché non vuoi accettare la realtà. La rabbia è un’emozione alla quale non puoi sfuggire. Non importa quanto ci abbia provato, non riuscirai a cambiare le cose.
Puoi allontanarti dagli amici, cambiare lavoro, casa, paese e persino coniuge, nella speranza di cambiare le circostanze in cui ti trovi, ma c’è ancora un Dio sovrano che ha tutto sotto controllo. Mentre l’udito di Beethoven indeboliva e diminuiva del tutto, né la rabbia, né le lacrime, avrebbero ripristinato il suo senso perduto.
Spesso capita anche a me di provare questo tipo di sentimento, in modo incredibilmente intenso.
Nei Vangeli, vediamo spesso Gesù interagire con i lebbrosi – gente affetta da una malattia molto infettiva – e non credo che sia un caso. Vivevano in colonie, proprio perché era altamente contagiosa. Nel 2010, sono andato in una colonia di lebbrosi in India e ho visto con i miei occhi le conseguenze di questa malattia.
Essa non distrugge necessariamente il corpo. Danneggia i nervi, intorpidendoli a tal punto che se ti appoggi su una superficie rovente, o su qualcosa di affilato, non te ne accorgi, finché non avrai bruciato o tagliato un dito. Le persone in questa colonia avevano protuberanze sulle dita, sugli occhi, erano senza naso ed avevano tanti altri difetti fisici. La lebbra li aveva deformati, aveva ridotto notevolmente le loro sensazioni tattili, portandoli in una strana confusione fisica, fino alla distruzione dei loro corpi, senza che se ne rendessero conto.
E non credo affatto che queste persone vengono evidenziate per caso, nella storia di Gesù. La mia infezione sinusale mi ricorda quanto è bello avere tutti e 5 i sensi funzionanti, anche se spesso lo do per scontato.
Tuttavia, penso che esista un altro tipo di desensibilizzazione, oltre quella fisica: quella delle nostre anime.
Anni fa, durante un incontro con un pastore, è venuto fuori l’argomento della mia lotta contro la pornografia. Ad un certo punto lui sollevò la mano, come se fosse piena di letame.
E poi mi disse: “Il problema, Ethan, è che hai sviluppato un certo gusto per la sporcizia”. Preferisci letteralmente mangiare schifezze, piuttosto che un pasto abbondante che non hai mai assaggiato. Hai praticamente compromesso i tuoi sensi”.
Aveva perfettamente ragione. Quando proviamo ad intorpidire il dolore della nostra esistenza, cercando di lenirla attraverso cose artificiali, non dovremmo sorprenderci se le cose non migliorano. Penso che il più grande problema che abbiamo, sia il rifiuto di accettare la realtà del nostro peccato, rifuggendoci quindi nel regno digitale di Netflix, in YouTube, nella pornografia, oppure facendo uso di sostanze.
Di conseguenza, iniziamo a diventare lebbrosi.
Ci sembra più facile applicare sul nostro corpo il balsamo lenitivo della desensibilizzazione, piuttosto che convivere con il dolore, il disagio o la delusione.
Kierkegaard ha sottolineato che dentro ognuno di noi ribolle un pozzo di desideri, bloccati e insoddisfatti. John Eldredge spiega che la rabbia che sfociamo, mentre facciamo la fila in banca, o in mezzo al traffico, non è rivolta in realtà alla persona che è davanti a noi. È puramente esistenziale. Il motivo principale è che siamo continuamente “affamati” ed i nostri desideri vengono ripetutamente insoddisfatti.
Parliamo il linguaggio dei desideri, come se non influenzassero direttamente ogni aspetto della nostra vita.
Non sarebbe più facile nascondere questi desideri sotto il tappeto ed accontentarsi di una soluzione temporanea? Siamo contenti di mangiare schifezze, pur di non patire la fame per qualche ora.
È meno doloroso accettare il fatto che tra noi e l’eudemonismo c’è un vuoto: la soddisfazione. Sono seduto al bar e quello che desidero disperatamente è di poter assaggiare il mio caffè, godermi la sua calda schiuma.
Ho passato la maggior parte della mia vita a desiderare di poter percepire Dio in qualche modo. Volevo solo sentire un sussurro o qualcosa di soprannaturale da ricordare. Ma non è avvenuto niente del genere. Mi sono infuriato, il mio desiderio è rimasto insoddisfatto, i miei sensi sono rimasti aridi. Quando Beethoven non poteva sentire, scuoteva il pugno e sputava contro il cielo. Quando Aschatz ed io non potevamo assaggiare, rompevamo i piatti e stringevamo i pugni. Ma la lebbra spirituale è peggiore. Piuttosto di esternare la nostra rabbia, la sostituiamo con un desiderio.
Dio non si è presentato per saziare la mia anima, quindi assaggerò il sesso occasionale o mi ubriacherò. Dio non esiste, quindi intorpidirò certe parti del mio corpo e le friggerò senza motivo, guardando il porno o Netflix.
È una citazione ben nota quella di C.S. Lewis riguardo i nostri desideri. Ecco cosa dice, nel caso non l’avessi letta finora:
“Sembrerebbe che Nostro Signore reputi i nostri desideri non troppo forti, ma troppo deboli. Siamo creature superficiali, che giocano con l’alcol, il sesso e l’ambizione, quando ci viene offerta una gioia infinita, come un bambino ignorante che vuole continuare a fare formine di sabbia in un vicolo, perché non immagina nemmeno cosa sia la prospettiva di una vacanza al mare. Ci accontentiamo troppo facilmente”.
La nostra sembra una situazione senza speranza, in perenne attesa che un Dio sussurrante si presenti ed allevi la nostra sofferenza. È come se avessimo dimenticato che il Signore in persona ha sofferto. E continua a soffrire. Caspita, pensi veramente che Gesù rideva, mentre lo inchiodavano? Pensi che gli facevano il solletico, sulla croce? Oppure sai che stava chiedendo al Suo Onnipotente Padre il perché Gli avesse voltato le spalle, lasciandolo appeso come la carne sullo spiedo?
Se c’è qualcuno nell’Universo che conosce la vera sofferenza, quello è il nostro Signore.
Non so perché Gesù avesse un debole per i lebbrosi, ma se c’è un gruppo di persone con cui mi identifico, sono proprio loro. Probabilmente desideravano da una vita poter sentire il calore o il tocco di un altro essere umano. Spesso penso a tutti i desideri insoddisfatti della mia vita, e mi rendo conto di avere davanti la stessa scelta che hanno avuto i lebbrosi dei quali racconta la Bibbia: andare da Cristo o sputargli addosso. Scuotere il pugno con rabbia insensata, o allungare la mano, solo per sfiorare il bordo sporco della Suo mantello.
Prego e mi auguro che il Signore ci possa guarire. Che possiamo andare da Cristo, anche quando i nostri sensi sembrano dissentire. Che anche se Lo cerchiamo alla cieca, possiamo avere la consapevolezza che Lui ci troverà sempre.
Autore: Ethan Renoe