Nessuno guarisce da solo. La comunità ci può ferire ma essa è anche il luogo della guarigione. L’unico aspetto della creazione che Dio considerava negativo era la solitudine umana. Credo che tutti desideriamo essere riconosciuti e rassicurati dagli altri, relazionandoci tra di noi, ma tutto ciò ci fa anche paura. Molte persone non si fidano della comunità, non si fanno conoscere dagli altri per paura di essere rifiutati e messi da parte. Può risultare difficile accettare di far parte di una comunità ma se ne diventiamo membri, sperimenteremo il potere del Corpo di Cristo e saremo trasformati. Cosa cerchiamo allora in una comunità?
La prima cosa è ben nota: aprirci (rischiando) e condividere con gli altri tutto ciò che ci spaventa e ci obbliga a nasconderci. Una volta ho sentito dire che noi siamo quello che evitiamo e alla fine diventiamo schiavi di ciò di cui non vogliamo parlare. Dobbiamo invece avere il coraggio di essere trasparenti e lasciare che gli altri ci vedano per quelli che siamo realmente. La seconda cosa è la percezione di sicurezza all’interno della comunità. Vogliamo che sia il posto in cui non ci sentiamo soli. Una comunità sicura è quella che non ci gira le spalle o ci giudica, in cui le persone non fanno paragoni o valutazioni tra una storia e l’altra. Una comunità, anche se ci fa sentire al sicuro, non può cancellare le conseguenze delle scelte che abbiamo fatto. Cerca invece di essere al nostro fianco mentre affrontiamo le conseguenze dei nostri sbagli.
È meraviglioso far parte di una congregazione che non viene scioccata dalla nostra storia. Non ci aiuta (e sicuramente non ci fa sentire al sicuro) quando qualcuno ci dice che la nostra è la peggiore storia mai sentita prima. Ciò che desideriamo è solo trovarsi in un posto dove le persone possano identificarsi in qualche modo con la nostra storia, senza dare giudizi. È un’espressione di grazia quando le persone possono condividere la stessa verità attraverso la nostra esperienza. Solo in quei momenti sentiamo di non essere soli. Infine, la comunità deve essere unita; per farlo bisogna essere disposti a rischiare e protendersi gli uni verso gli altri. La vulnerabilità reciproca e condivisa tiene una comunità legata. Le persone che la compongono devono essere sia ascoltatori che comunicatori. Ci vuole tanto coraggio per legare con qualcuno in modo onesto e autentico ma se hai frequentato delle persone a cui piace nascondere le cose, restie alla condivisione, ti risulterà difficile aprirti con gli altri. Molti adulti in via di guarigione confessano di non aver mai avuto nessuno che li potesse consigliare o prendersi cura di loro, mentre crescevano. Di conseguenza, hanno sempre creduto che spettasse unicamente a loro prendersi cura di sè. Per colpa di quella lezione, hanno cercato di soddisfare i propri bisogni trovando “sicurezza” nel totale isolamento. Il problema è che l’isolamento non farà mai sentire nessuno al sicuro. Questo perché siamo più vulnerabili quando siamo soli e più sicuri quando facciamo parte di una comunità sana.
Uno dei migliori esempi di comunità è quello fornito da quei quattro amici che portarono il loro amico paralitico a Gesù su una lettiga (Marco 2:1-12). Possiamo imparare molto da coloro che sono disposti a portare i loro amici a Gesù. Quando siamo membri di una comunità sana, riusciamo a vedere oltre le nostre paure ed insicurezze. Siamo in grado di capire i bisogni di chi ci circonda. Anche se sappiamo quali sono veramente i nostri bisogni emotivi, non dobbiamo permettere loro e alla nostra paura di consumarci. La comunità ci ricorda che non siamo soli nel momento del bisogno. Alcuni credono che spetti soltanto a loro soddisfare i propri bisogni. Una comunità funzionante invece conosce bene i bisogni dei suoi membri e tutti insieme cercano di soddisfarli al meglio. Tutti sono responsabili e nessuno viene escluso.
Uno degli obbiettivi della comunità è onorare l’unicità di ciascun membro. Le Scritture ci raccontano di questi quattro uomini che portano l’amico malato da Gesù e, ognuno di loro è responsabile dell’angolo della lettiga che portano sulle spalle. Il fatto è che siamo diversi. Reagiamo in modo diverso l’uno dall’altro, offriamo cose diverse a chi si trova nel bisogno. Il corpo funzionante di Cristo si distingue proprio per l’unicità degli individui che ne fanno parte. Non dobbiamo temere le differenze che ci caratterizzano, bensì abbracciarle. Se ogni persona porta il proprio angolo, il peso non sarà mai troppo grande e i bisogni non sembreranno eccessivi. E’ bello vedere la determinazione di chi trasportava la lettiga. La grande folla non li ha fermati e nemmeno la resistenza dei leader religiosi. Hanno continuato nel loro intento perché avevano grande fede in Gesù. Fecero un enorme buco nel tetto della casa dove predicava Gesù pur di raggiungere il loro obiettivo. Avevano capito che il caos temporaneo sarebbe stato sostituito da una trasformazione miracolosa. La forza di una comunità si vede nel modo in cui affronta gli ostacoli, pur di portare i propri membri ai piedi di Gesù. E ci sono molti ostacoli e grande caos, prima della guarigione. La vera forza di una congregazione sta proprio nella determinazione, creatività e concentrazione su come risolvere varie problematiche.
Quando entriamo a far parte di una comunità redentrice, anche se siamo pieni di paure e sopraffatti dalle difficoltà, possiamo essere trasformati e sperimentare in modo potente la verità e la grazia attraverso coloro che tanto amano Dio.
Autore: Greg Miller