Non avevo proprio molti amici alle scuole superiori, ma uscivo qualche volta con un ragazzo di nome Whitmore. Dato che Whitmore era il ragazzo più grosso della nostra classe e io il più minuto, facevamo una strana coppia.
Naturalmente, Whitmore giocava come centro per la squadra di basket della scuola. Amavo il basket e avrei dato qualsiasi cosa per un posto nella squadra, ma la mia minuscola statura, insieme all’assenza di una qualsiasi abilità atletica, rese questo sogno irraggiungibile. Riuscii ad assicurarmi un posto sull’autobus della squadra lavorando come volontario come responsabile delle attrezzature e come statistico.
Durante le ore di scuola io e Whitmore eravamo assegnati a parecchie delle stesse classi, inclusa un’aula studio giornaliera. Dato che nessuno di noi due credeva fosse lecito agonizzare su dei compiti da fare per casa, l’aula studio era una gran perdita di tempo per noi, ed alla fine scoprimmo un modo per saltarla del tutto. Un giorno Whitmore rubò un blocco di permessi dalla cattedra del bibliotecario. Da quel giorno in poi, ogni giorno, facevo degli scarabocchi su due permessi per tutti e due e ricopiavo la firma di un insegnante. Poi, mentre il coach era impegnato a insegnare in un’altra parte dell’edificio, Whitmore e io andavamo in palestra, dove avremmo passato tutto il tempo a giocare a basket uno contro uno.
Suppongo che io e Whitmore abbiamo giocato centinaia di partite, forse migliaia. Tra tutte ne ho vinte… nessuna. A volte Whitmore si allontanava e mi faceva tirare, e occasionalmente permetteva pure che i punteggi si avvicinassero, ma quando la partita finiva era sempre Whitmore che aveva ventuno punti.
Anni dopo ebbi la mia vendetta. Ero diventato un padre ormai, e mio figlio Daniel voleva fare una prova per la squadra di basket della sua scuola. Mi chiese di insegnargli a giocare. Portai Daniel a un parco della città vicino a casa nostra, lo addestrai per un po’ nei fondamentali, e poi lo sfidai a una partita uno contro uno.
Un buon padre avrebbe lasciato suo figlio vincere – almeno una volta – ma ero troppo impegnato a essere Whitmore per pensarci. Volta dopo volta io e Daniel tornammo a quel parco per giocare a basket, e partita dopo partita ero io quello a finire con ventuno punti.
Un giorno, però, Daniel portò con sé un amico, un altro ragazzino di dieci anni che chiese innocentemente se volessi giocare contro loro due. Accettai, ovviamente, e li stracciai. Dopo quella prima partita, però, questo ragazzino prese Daniel da parte per una breve sessione strategica. Quando iniziò la seconda partita, sapevo di essere nei guai.
Il diabolico giovane amico di Daniel aveva un paio di assi nella manica che si rivelarono fatali per il mio gioco. Innanzitutto, sapeva come “spaziarsi in attacco”, così che non riuscissi a coprire contemporaneamente entrambi i ragazzi. Come seconda cosa, sapeva come passare la palla al giocatore libero. Con quei due strumenti, i ragazzi mi stancarono velocemente. Quando la partita finì, loro avevano ventuno punti ed io ero esausto.
La maggior parte degli uomini che vengono nella Samson Society hanno giocato uno contro uno con un avversario superiore per anni. A volte hanno il presentimento che stiano veramente per vincere, ma ogni partita finisce nello stesso modo. Questi uomini arrivano nella Samson umiliati ed esausti, sperando che noi gli possiamo insegnare come giocare meglio nell’uno contro uno.
Ma noi non giochiamo quel tipo di gioco. Abbiamo smesso di andare uno contro uno contro un avversario che si è scontrato con uomini come noi per millenni. Per quel che ne sappiamo, solamente un uomo nella storia lo ha battuto. (“Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto; e nel deserto rimase per quaranta giorni, tentato da Satana” (Marco 1:12-13). Ogni volta che abbiamo permesso a noi stessi di essere persuasi a giocare uno contro uno, siamo finiti per essere dalla parte dei perdenti. Ora facciamo un gioco di squadra.
Autore: Nate Larkin (tratto dal suo libro “Sansone e i monaci pirati“)