Ho fatto molte camminate verso l’altare all’inizio della mia vita, spesso mentre il pianoforte suonava “Io m’arrendo”. Ho sempre pensato che mi stessi arrendendo, ma non lo stavo facendo. Stavo negoziando.
Il mio tempo all’altare finiva sempre con una promessa. Cantavo qualcosa come, “Andrò dove tu vuoi che io vada, caro Signore. Sarò chi tu vuoi che io sia”, e intendevo veramente ogni parola. In quel momento, in qualche modo, credevo che tutte le mie promesse infrante a Dio fossero risultate da una comprensione imperfetta o una mancanza di determinazione. Ma ora la situazione era cambiata. Il predicatore mi aveva mostrato la verità, e Dio mi stava offrendo una seconda possibilità. Finalmente sapevo cosa fare, ed ero determinato a farlo d’ora in poi. “Andrò dove tu vuoi che io vada, caro Signore. Sarò chi tu vuoi che io sia”.
Ho notato che per brevi periodi di tempo posso convincermi che sono fedele a Dio se definisco la fedeltà in termini di un solo comportamento. Se decido che la santità consiste nel non bere, per esempio, posso sentirmi abbastanza bene riguardo me stesso fin quando non bevo. Sebbene tratto chi beve con disprezzo e pecco contro l’amore in una miriade di altri modi, posso camminare per strada dandomi delle arie e sfilare dentro il tempio a testa alta, rumorosamente ringraziando il Signore di non essere “come gli altri uomini”.
La superbia, comunque, è un’arma a doppio taglio. Se ho ridotto la santità a un singolo comportamento, allora sto rimanendo in piedi su una gamba sola. Una caduta e sono di nuovo niente, assolutamente inutile. In ogni caso, i comandamenti del Vangelo non significano niente per me. Non sento “ama tua moglie” o “ama i tuoi nemici” o “ama il tuo prossimo come te stesso”. Sento solamente “non bere”.
Dio, nella sua grazia, ha usato la dipendenza per frantumare la mia comprensione moralistica della fede cristiana e mi ha forzato ad accettare il Vangelo. Non sono un uomo fedele. Ecco perché ho bisogno di un salvatore. Non posso vivere nella vittoria da solo. Ecco perché ho bisogno di un soccorritore e di fratelli. Non riesco a mantenere le mie promesse a Dio – l’atto in sé di farle è delirante – ma Dio manterrà le promesse che ha fatto a me.
Come cristiano, sono costantemente ridotto al ruolo di supplicante. Non posso più offrire a Dio uno scambio, il suo favore in cambio della mia fedeltà, o andare faccia a faccia con Lui, chiedendo un pagamento per anni di servizio. Ma quando mi avvicino a Lui umilmente, come un figliol prodigo restaurato, risponde con una generosità travolgente alle mie richieste di aiuto.
Non sono richieste preghiere eleganti. Infatti, Dio reputa le preghiere eleganti ripugnanti. Ama, però, quando riconosco il mio bisogno e la mia credenza nella sua benevolenza con una semplice preghiera di una parola:
“Aiuto!”
Autore: Nate Larkin (tratto dal suo libro “Sansone e i monaci pirati”)