Quando permettiamo a noi stessi di soffermarci molto sui nostri problemi, sulle difficoltà che si incontrano nel processo di guarigione, sui peccati e sulle problematiche familiari, gli concediamo il potere di trasformarci in persone stanche e disperate. Dimentichiamo Dio e voliamo in un modo maniacale, dove desideriamo sistemare tutto da soli, una volta per tutte.
Quando lo faccio, Dio mi tocca delicatamente sulla spalla e mi ricorda di guardare in alto. “Oh Signore, lo sto facendo di nuovo”. Lui mi frena e mi aiuta a ricordare che Egli è Dio, ha tutto sotto controllo, e che tutte le mie mosse non faranno altro che peggiorare le cose.
L’ossessione per i nostri problemi porta paura e ansia, avvolgendoci strettamente intorno all’Io. Perdiamo la capacità di ascoltare e prenderci cura di chi ci circonda e, peggio ancora, non ricevere l’aiuto di Dio e degli altri. La fede si affievolisce. È difficile lasciare che Dio gestisca i nostri problemi, quando ci aggrappiamo ad essi.
Molti dei problemi che vorrei risolvere, riguardano persone, o situazioni, che non potrei mai controllare. Un affare va male e i clienti gridano vendetta… o altro. Qualcuno ha fatto un errore ma loro vogliono che paghi io. Le due parti induriscono la loro posizione e la speranza di una soluzione sembra lontana. Ora ho due scelte: andare fuori di testa, o guardare in alto e fidarmi del Signore.
Dio mi insegna continuamente come camminare con Lui, facendo un passo alla volta. Forse penserai che avrò ormai imparato la lezione, dopo tutte le volte che ho visto Dio apparire e risolvere i miei problemi.
Quando provo ad affrettare i tempi tutto va storto; ho la tendenza di mettere 10 kg di patate in sacchetti da 5 kg e dividerle, creando soltanto disordine. Quindi torno sempre al punto di partenza.
So che è Dio a fornire la risposta ma c’è un processo da rispettare. Devo rimanere in ginocchio e pregare, concentrandomi solo su di Lui, senza farmi prendere dal panico, e non importa quanto una situazione possa sembrare brutta.
Poi c’è la parte che mi fa letteralmente perdere la testa: l’attesa. Alcune prove durano per mesi, persino anni. Ci sono momenti in cui l’attesa sembra più simile allo… stretching.
Mentre aspetto però, imparo a fidarmi e camminare con Lui, invece di andare avanti per conto mio. Sto anche imparando a lasciare che sia Lui a portare il peso. Le mie spalle sono troppo fragili per farlo.
Aspettare non significa che mi devo buttare sul divano con un sacchetto di biscotti e fare zapping davanti alla TV. Mi concentro piuttosto nel fare al meglio le cose che posso controllare, lasciando a Dio tutto il resto. Questo vuol dire che non devo avere fretta, non devo prima testare le acque e poi immergermi; devo inseguire la saggezza, invece della follia – percorrere la via di Dio, invece della mia.
Il Signore ha provveduto delle persone, con cui posso condividere le mie preoccupazioni e le idee, ovvero mia moglie e i fratelli in fede. Loro cercano di tenermi con i piedi per terra e se pensano che la strada che sto percorrendo sia pericolosa, non esiteranno a dirmelo.
La prossima volta che sarai tentato di cadere nella disperazione, guarda in alto. È molto meglio farlo in tempo piuttosto che aspettare di essere a un passo dal baratro.
Autore: Mike Genung (tratto dal libro “100 giorni di Cammino verso la grazia”)